Se dico “interdevochka”, per molti che leggono questo blog e che non parlano il russo, il termine non significhera’ assolutamente niente, e per chi non ha vissuto in Russia nel periodo a cavallo della Perestroika, oppure immediatamente dopo la caduta del regime sovietico, avra' ancor meno senso. Ma per chi ha vissuto quegli anni e certe esperienze, la parola “interdevochka” ha un significato molto preciso. Interdevochka e' la prostituta che in Unione Sovietica si rivolgeva solo a una clientela straniera, prestando i propri servigi in cambio di valuta forte e, magari, della possibilita’ che un cliente, innamorandosi, le fornisse l'occasione per uscire dal paese e da quella che, in quel momento, era una realta’ davvero molto dura.
Questo tema, fino al 1989, in Russia, non era mai stato trattato. Benche’ le prostitute ci fossero da sempre, il regime fin dai tempi di Stalin continuava a negarne l'esistenza e anche prima del collasso sociale, economico e politico che si e’ verificato negli anni ’80, non essendoci alcuna legge a riguardo, contro le prostitute (che ricordiamolo, “non esistevano”), veniva applicato quand’era possibile un duplice deterrente: la minaccia di delazione presso i familiari e i vicini di casa, e quindi lo sputtanamento, e un articolo del codice penale che riguardava, pero’, la sola detenzione di valuta straniera, il famigerato articolo 88, che stabiliva dai tre ai sette anni di carcere per chiunque ne fosse stato trovato in possesso. Un articolo che, fra l'altro, resta ancora in vigore oggi, nonostante da tempo non sia piu' applicato.
Ma tutto questo era sussurrato sottovoce. Se ne parlava, ma solo fra gli addetti ai lavori. Le prostitute, i clienti, la polizia. I padri e le madri, anche se spesso sapevano che le loro figlie si prostituivano, facevano finta di niente. C’era un forte senso di vergogna, di orgoglio, e un condizionamento dovuto a settant’anni di regime che aveva convinto tutti della grandezza culturale, etica e morale del popolo russo. Tuttavia, c’era anche bisogno di denaro, un bisogno che era reale e impellente e che non poteva tener tanto conto dell'orgoglio, visti i tempi in cui il rublo aveva perso gran parte del suo potere d’acquisto e i salari non bastavano piu' a vivere dignitosamente.
Sebbene il governo tentasse per via politica di tenere un cambio del rublo col dollaro di uno contro uno, al mercato nero veniva scambiato normalmente a quattro contro uno, e avrebbe raggiunto in breve tempo anche un rapporto di sette rubli per un dollaro. Non potendosi permettere dunque niente che fosse importato da fuori, quello che la gente poteva acquistare era solo roba russa, e sempre piu’ spesso la roba mancava.
Parlare di tutto cio' era dunque un tabu’, anche perche’ avrebbe messo in luce le troppe magagne di un sistema che ormai era vicino allo sfascio, corrotto all'inverosimile fin dentro le radici, ma le prostitute che lavoravano con gli stranieri, le interdevochki, nonostante questo contorno d’ipocrisia che non permetteva di parlarne, esistevano. Erano ancora un giro chiuso, nel quale era difficile per una ragazza entrare se non tramite presentazione e raccomandazione, ma tranquillamente c'era chi esercitava negli hotel facendosi pagare in valuta forte, potendo contare persino sulla tacita accondiscendenza della polizia e del KGB, in quanto anche gli agenti che erano perennemente di sorveglianza, avendo una gran fame di denaro, chiudevano volentieri un occhio e anche due in cambio di una percentuale sugli incassi.
Questo tabu’ e venuto a infrangersi quando, nel 1989, con una coproduzione sovietica-svedese, il regista Pyotr Todorovsky, ha messo a nudo la realta’ con il film intitolato proprio “Interdevochka”, diventato subito un grande successo di pubblico, visto da oltre quaranta milioni di spettatori. Forse uno dei film piu' visti e famosi in Russia. C’e’ addirittura chi pensa che il regime sovietico, gia’ traballante per innumerevoli ragioni, sia crollato del tutto proprio quando, piu’ che l’economia e il muro di Berlino, e’ venuto giu’ il velo d’ipocrisia che ricopriva ogni cosa, al quale tutti ancora si aggrappavano. Uno scossone che “Interdevochka” ha certamente contribuito a dare.
Girato a San Pietroburgo quando ancora si chiamava Leningrado, il film ha vinto numerosi premi, e ha fatto dell’attrice protagonista, Elena Yakovleva, una popolarissima star. Per i russi, questo film cosi’ dirompente e scandaloso, e’ quello che per gli italiani potrebbe essere “Ultimo tango a Parigi”, o per gli americani "Proposta indecente" oppure "Basic Instinct". Ciononostante, nel resto mondo non lo conosce quasi nessuno. Questo perche’ non e’ mai stato doppiato in altre lingue, ne’ sottotitolato, ed e’ visibile nella sola versione in russo [QUI].
In Wikipedia si trova solo qualche notiziola di poco conto, giusto in quattro lingue, e se ne racconta approssimativamente la trama, ma senza sviscerarne il vero significato e senza spiegare quanto questo film abbia influito profondamente a modificare il senso di percezione dei russi nei confronti delle ragazze che esercitavano la prostituzione.
Le persone hanno iniziato a farsi quelle domande che non si erano mai fatte, forse per paura delle risposte, e in molte giovani ragazze ha generato finanche un forte senso di emulazione, ribelle, cosicche’ tante hanno iniziato a prendere in considerazione la possibilita’ di uscire dalle macerie della vita in cui ogni giorno si dibattevano, fatta di rinunce e di tanti sogni, anche con l’utilizzo spregiudicato del proprio corpo. Esattamente come la protagonista della storia.
In breve: Tatiana e’ una giovane e bella infermiera che, sottopagata dall’ospedale dove lavora, sceglie di prostituirsi con gli stranieri che alloggiano in un albergo della citta’. Ben pagata in valuta straniera, aiuta la madre insegnante, inconsapevole della doppia vita della figlia, a sopravvivere nei tempi durissimi che hanno preceduto in Russia la fine del regime comunista. I clienti, durante gli incontri, le raccontano di come sia diversa la vita nei loro paesi. Cosi’, per fuggire dal grigiore e dalla tristezza di una realta’ che la opprime, accetta la proposta di matrimonio che le viene fatta da uno svedese che si e’ innamorato di lei.
Tutta la prima parte del film – quella a mio avviso piu’ interessante - e’ incentrata sulle peripezie e le difficolta’ che deve affrontare Tatiana per ottenere il permesso per espatriare, per il quale trova ostacoli continui, ed in cui viene descritta una torbida realta’ fatta di personaggi squallidi (fra cui il padre che l'aveva abbandonata quando era piccola) nei quali sembra non esistere un briciolo di umanita’ e altruismo, ma solo la precisa volonta’ di sopravvivere ad ogni costo in un mondo in cui ognuno pensa per se’.
Pero’, anche se alla fine sposa un uomo decente e riesce a espatriare in Svezia, Tatiana ancora continua a soffrire per la lontananza da sua madre, per l’isolamento culturale cui e’ sottoposta, per vivere in un paese che non e’ il suo dove non conosce la lingua e non riesce neppure a trovare un lavoro, e per essere etichettata comunque e sempre come un’ex prostituta. L’epilogo, drammatico, e’ solo l’artificio cinematografico del regista per indicare come, in fondo, non esista una realta’ ottimale e che ovunque vada a vivere, chi e’ nato in Russia non potra’ mai fare a meno di provare una nostalgia quasi mortale per la propria terra, per la propria gente e per le proprie abitudini.
A parte il finale romanzato e lacrimoso, dettato forse da esigenze commerciali, il film e’ comunque interessante per il modo in cui e’ girato, per la storia che racconta e soprattutto, per come e’ recitato (le attrici e gli attori sono davvero qualcosa di strepitoso), tanto che l’idea che rende e’ cosi’ veritiera da farlo sembrare fin dalle prime immagini un documento indelebile di vita vissuta nel quale e’ possibile riscoprire il vero volto della Russia di quei tempi. L’ho potuto rivedere dopo tanti anni, l’altra sera in tv, e devo dire che non ha perso niente della sua forza originale. Ma forse certe emozioni le prova solo chi e’ stata, in un certo senso, interdevochka e non si vergogna a confessarlo.