
Ci sono persone che inseguono priorita’ sensoriali lontane dalle mie e tralasciano quelle che invece ritengo fondamentali.
La vista, per esempio, e’ estranea al mio modo di “sentire”.
“Come sei bella, che bei capelli, che occhi stupendi” sono frasi che attengono alla sfera visiva che generalmente ogni donna gradisce. Ma la vista e’ un senso involontario; non occorre che la persona voglia vedere; se non ha menomazioni lo fa indipendentemente e l’azione e’ totalmente scollegata dalla volonta’.
Molti uomini hanno il senso della vista come priorita’. Basano il loro giudizio sui dettagli che afferiscono alla gradevolezza estetica. Ci sono poi le volte in cui certe frasi sono di circostanza. Vengono dette anche a chi non ha caratteristiche tali da poterle stimolare ed e’ quindi difficile stabilire il loro grado di sincerita’.
Preferisco quando il discorso cade sull’organolettico. Quando si parla di sapori tutto assume un significato diverso: dato che assaporare, a differenza del vedere, e’ un atto volontario, quando tutto cio’ e’ riferito a me sento una strana eccitazione che si manifesta con un leggero tremolio dentro la pancia che io chiamo “le farfalline”.
Ogni donna ha il suo sapore.
Se la persona con la quale faccio sesso individua il sapore che ho, significa che riesce a compenetrarsi in me quasi totalmente. Dimostra di possedere una sensibilita’ molto simile a quella che ho io. Evita le banalita’ nei momenti in cui i sensi prendono il sopravvento e si abbandona all’estasi totale. Nell’assaggiarmi mi rende sua.
Albicocca… Mi svegliai con il sapore di albicocca in bocca.
Il sole inondava la stanza. Ci misi un po’ per entrare in sintonia con la realta’. Allungai la mano cercando. Sentii il lenzuolo ancora intriso del suo calore. Annusai l’aria. C’era ancora il suo odore: sesso misto ad aromi speziati del suo profumo. Ed albicocca.
Restai distesa con gli occhi chiusi e cercai di mettere a fuoco gli eventi. Era accaduto in un momento in cui i nostri volti si erano avvicinati. Sapevamo che sarebbe successo. Solo attendevamo l’attimo giusto per rompere il ghiaccio. E quello era stato l’attimo. Succhiai voracemente la sua lingua dissetandomi con la sua saliva e lei fece altrettanto con la mia. Sapeva di albicocca. Albicocca matura e succosa. Lo dissi mormorandolo fra le nostre lingue.
Quando lui si uni’ al gioco i sapori si mischiarono come i nostri corpi. Sono certa che il biblico albero del bene e del male fosse un albicocco. Cogliemmo da esso frutti per tutta la notte fino a quando crollammo, e di noi restarono solo i noccioli.
Non si era verificato quello che avevo temuto. Lui aveva fatto sesso con entrambe ma aveva fatto l’amore solo con me. Olga aveva partecipato a quel menage mettendoci passione. Con lui aveva recitato il ruolo da escort, ma a me aveva dedicato un’attenzione totale.
Ero stata al centro dell’Universo. Ero stata il collante che per una notte ci aveva uniti. Ricordo di essere rimasta nel mezzo, abbracciata ad entrambi fino a quando il sonno non aveva preso il sopravvento.
Adesso mi trovavo li’ sola nel grande letto. Rumore di acqua che scrosciava. Qualcuno stava facendosi la doccia. Aprii gli occhi. Mi alzai sedendomi sul bordo del letto. Il lenzuolo ed i cuscini erano macchiati del nostro piacere. Guardai l’ora: quasi mezzogiorno. I vestiti di lui non c’erano mentre quelli di Olga erano sparsi in giro.
Entrai nel bagno. Era bellissima ed i suoi occhi mi sorrisero appena mi videro.
“Dobroie utro, ti karasho spal?” *
“Da, Olga, ochen karasho, spasibo” **
Entrai anche io sotto la doccia insieme a lei e giocammo a lavarci reciprocamente con i corpi insaponati. Ci baciammo ancora ed iniziai a sentire “le farfalline”, ma gli accordi non erano quelli. Lui non c’era in quel momento e cio’ mi pareva come una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Avevamo fatto un patto: Olga era il nostro giocattolo. Un giocattolo condiviso e nessuno dei due avrebbe dovuto reclamarne la proprieta’ esclusiva. Mi ritirai quindi controvoglia da quella situazione. Mi sentivo leggermente in colpa.
Mentre mi asciugavo indossando l’accappatoio domandai di lui, ma quando era uscito dalla stanza lei ancora stava dormendo. Disse che al suo risveglio era rimasta ad osservarmi nel sonno ed aveva sfiorato la mia guancia con il naso; odoravo di albicocca anche io.
“Ti ho detto che siamo simili!” aggiunsi ridendo.
“Simili si’ ma non uguali – rispose lei – a te piacciono anche gli uomini”
Ridemmo ancora ricordando la situazione in cui ci eravamo conosciute la sera prima, la proposta, il principe, i due francesi in cerca di escort, i grasshopper.
Quando fummo pronte lo chiamai al cellulare. Ci aspettava per andare a pranzo. “A colazione!” corressi io.
Scegliemmo una brasserie in place Casino. Olga chiese specificatamente della marmellata di albicocche ed inizio’, di fronte a me, una pantomima mangiandola con le dita mentre mi fissava. Riuscii a restare composta e seria anche quando cerco’ di farmela assaggiare dalle sue labbra.
Non sapevo quanto questo suo atteggiamento a lui seccasse. Dopotutto Olga si era inserita nella nostra esistenza a causa di una futile scommessa. Avevo scommesso che l’avrei portata nel nostro letto gratuitamente e lui aveva accettato la sfida. Il gioco stava ormai concludendosi ed io avrei potuto ritirare il premio che mi spettava.
Ancora poche ore ed Olga sarebbe andata via. Di lei non avremmo saputo piu’ niente. Avrebbe continuato la sua vita di studentessa-escort fra Sankt Peterburg e Monaco mentre noi saremmo tornati alla nostra complice e mondana ricerca d’avventura.
La osservai mentre mangiava il gelato. I capelli biondi raccolti. Teneva lo sguardo basso concentrata sul grande bicchierone ricolmo di panna. Ogni tanto alzava gli occhi e mi guardava languidamente. Mi ricordai di altri occhi con quella luce nello sguardo. Occhi con lo stesso taglio; occhi di una Pentesilea mai piu’ incontrata. Una Pentesilea che odorava di albicocca.
Qualcosa di malinconico sali’ dal profondo dei miei ricordi e decisi che non avrei piu’ giocato. Guardai lui che guardava lei che guardava me. Sentivo che quella non sarebbe stata una fine ma un nuovo inizio. Chiesi di pagare il conto ed uscimmo.
L’accompagnammo all'hotel. Era gia’ pomeriggio inoltrato. Lei sarebbe partita la mattina dopo, io e lui, invece, avremmo ripreso il nostro viaggio la sera stessa.
Odio gli addii. Porterei tutti quanti con me. Come una zingara riempirei il carrozzone trainato da cavalli e girerei per il mondo con la mia troupe di saltimbanchi, equilibristi, mangiatori di fuoco, ballerine e clowns. Monterei le tende del mio circo negli angoli piu’ remoti ai confini del sogno e darei spettacoli ai quali assisterebbero tutti i bimbi che dentro di noi son prigionieri.
La baciai ancora una volta. Ci scambiammo i numeri di telefono. Ci promettemmo di sentirci presto e di ritrovarci alla prima occasione. Lui ci osservava in silenzio con aria quasi divertita, sorniona, come un papa’ che osservava la propria figlia mentre salutava l’amichetta alla fine della vacanza estiva.
Quando fummo soli gli domandai il perche’ di quella sua aria divertita, visto che aveva perso la scommessa.
“Tesoro – mi disse – perche’ dici di aver vinto una scommessa che in realta’ hai perso?”
Lo guardai con aria stupefatta.
“Come perso? Avevamo stabilito che l’avrei portata nel nostro letto gratis e mi pare di esserci riuscita. O no?”
Sempre con aria sorniona mi guardo’, mi abbraccio’ e fissandomi da una distanza di dieci centimetri mi disse:
“Di’ la verita’… Temevi che fossi io a perdere la testa per Olga e invece mi pare che…”
“Ma che c’entra questo? La scommessa non era su questo” replicai io, alterata forse piu’ per aver compreso il senso della sua allusione che per altro motivo.
“Infatti la tua cotta per lei non c’entra nulla… – concluse sorridendo cinicamente – solo che ieri al bar le hai offerto due grasshopper. E li hai pagati tu!”
* Dobroie utro, ti karasho spal? – Buon giorno, dormito bene?
** Da, ochen karasho, spasibo – Si, molto bene, grazie
La vista, per esempio, e’ estranea al mio modo di “sentire”.
“Come sei bella, che bei capelli, che occhi stupendi” sono frasi che attengono alla sfera visiva che generalmente ogni donna gradisce. Ma la vista e’ un senso involontario; non occorre che la persona voglia vedere; se non ha menomazioni lo fa indipendentemente e l’azione e’ totalmente scollegata dalla volonta’.
Molti uomini hanno il senso della vista come priorita’. Basano il loro giudizio sui dettagli che afferiscono alla gradevolezza estetica. Ci sono poi le volte in cui certe frasi sono di circostanza. Vengono dette anche a chi non ha caratteristiche tali da poterle stimolare ed e’ quindi difficile stabilire il loro grado di sincerita’.
Preferisco quando il discorso cade sull’organolettico. Quando si parla di sapori tutto assume un significato diverso: dato che assaporare, a differenza del vedere, e’ un atto volontario, quando tutto cio’ e’ riferito a me sento una strana eccitazione che si manifesta con un leggero tremolio dentro la pancia che io chiamo “le farfalline”.
Ogni donna ha il suo sapore.
Se la persona con la quale faccio sesso individua il sapore che ho, significa che riesce a compenetrarsi in me quasi totalmente. Dimostra di possedere una sensibilita’ molto simile a quella che ho io. Evita le banalita’ nei momenti in cui i sensi prendono il sopravvento e si abbandona all’estasi totale. Nell’assaggiarmi mi rende sua.
Albicocca… Mi svegliai con il sapore di albicocca in bocca.
Il sole inondava la stanza. Ci misi un po’ per entrare in sintonia con la realta’. Allungai la mano cercando. Sentii il lenzuolo ancora intriso del suo calore. Annusai l’aria. C’era ancora il suo odore: sesso misto ad aromi speziati del suo profumo. Ed albicocca.
Restai distesa con gli occhi chiusi e cercai di mettere a fuoco gli eventi. Era accaduto in un momento in cui i nostri volti si erano avvicinati. Sapevamo che sarebbe successo. Solo attendevamo l’attimo giusto per rompere il ghiaccio. E quello era stato l’attimo. Succhiai voracemente la sua lingua dissetandomi con la sua saliva e lei fece altrettanto con la mia. Sapeva di albicocca. Albicocca matura e succosa. Lo dissi mormorandolo fra le nostre lingue.
Quando lui si uni’ al gioco i sapori si mischiarono come i nostri corpi. Sono certa che il biblico albero del bene e del male fosse un albicocco. Cogliemmo da esso frutti per tutta la notte fino a quando crollammo, e di noi restarono solo i noccioli.
Non si era verificato quello che avevo temuto. Lui aveva fatto sesso con entrambe ma aveva fatto l’amore solo con me. Olga aveva partecipato a quel menage mettendoci passione. Con lui aveva recitato il ruolo da escort, ma a me aveva dedicato un’attenzione totale.
Ero stata al centro dell’Universo. Ero stata il collante che per una notte ci aveva uniti. Ricordo di essere rimasta nel mezzo, abbracciata ad entrambi fino a quando il sonno non aveva preso il sopravvento.
Adesso mi trovavo li’ sola nel grande letto. Rumore di acqua che scrosciava. Qualcuno stava facendosi la doccia. Aprii gli occhi. Mi alzai sedendomi sul bordo del letto. Il lenzuolo ed i cuscini erano macchiati del nostro piacere. Guardai l’ora: quasi mezzogiorno. I vestiti di lui non c’erano mentre quelli di Olga erano sparsi in giro.
Entrai nel bagno. Era bellissima ed i suoi occhi mi sorrisero appena mi videro.
“Dobroie utro, ti karasho spal?” *
“Da, Olga, ochen karasho, spasibo” **
Entrai anche io sotto la doccia insieme a lei e giocammo a lavarci reciprocamente con i corpi insaponati. Ci baciammo ancora ed iniziai a sentire “le farfalline”, ma gli accordi non erano quelli. Lui non c’era in quel momento e cio’ mi pareva come una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Avevamo fatto un patto: Olga era il nostro giocattolo. Un giocattolo condiviso e nessuno dei due avrebbe dovuto reclamarne la proprieta’ esclusiva. Mi ritirai quindi controvoglia da quella situazione. Mi sentivo leggermente in colpa.
Mentre mi asciugavo indossando l’accappatoio domandai di lui, ma quando era uscito dalla stanza lei ancora stava dormendo. Disse che al suo risveglio era rimasta ad osservarmi nel sonno ed aveva sfiorato la mia guancia con il naso; odoravo di albicocca anche io.
“Ti ho detto che siamo simili!” aggiunsi ridendo.
“Simili si’ ma non uguali – rispose lei – a te piacciono anche gli uomini”
Ridemmo ancora ricordando la situazione in cui ci eravamo conosciute la sera prima, la proposta, il principe, i due francesi in cerca di escort, i grasshopper.
Quando fummo pronte lo chiamai al cellulare. Ci aspettava per andare a pranzo. “A colazione!” corressi io.
Scegliemmo una brasserie in place Casino. Olga chiese specificatamente della marmellata di albicocche ed inizio’, di fronte a me, una pantomima mangiandola con le dita mentre mi fissava. Riuscii a restare composta e seria anche quando cerco’ di farmela assaggiare dalle sue labbra.
Non sapevo quanto questo suo atteggiamento a lui seccasse. Dopotutto Olga si era inserita nella nostra esistenza a causa di una futile scommessa. Avevo scommesso che l’avrei portata nel nostro letto gratuitamente e lui aveva accettato la sfida. Il gioco stava ormai concludendosi ed io avrei potuto ritirare il premio che mi spettava.
Ancora poche ore ed Olga sarebbe andata via. Di lei non avremmo saputo piu’ niente. Avrebbe continuato la sua vita di studentessa-escort fra Sankt Peterburg e Monaco mentre noi saremmo tornati alla nostra complice e mondana ricerca d’avventura.
La osservai mentre mangiava il gelato. I capelli biondi raccolti. Teneva lo sguardo basso concentrata sul grande bicchierone ricolmo di panna. Ogni tanto alzava gli occhi e mi guardava languidamente. Mi ricordai di altri occhi con quella luce nello sguardo. Occhi con lo stesso taglio; occhi di una Pentesilea mai piu’ incontrata. Una Pentesilea che odorava di albicocca.
Qualcosa di malinconico sali’ dal profondo dei miei ricordi e decisi che non avrei piu’ giocato. Guardai lui che guardava lei che guardava me. Sentivo che quella non sarebbe stata una fine ma un nuovo inizio. Chiesi di pagare il conto ed uscimmo.
L’accompagnammo all'hotel. Era gia’ pomeriggio inoltrato. Lei sarebbe partita la mattina dopo, io e lui, invece, avremmo ripreso il nostro viaggio la sera stessa.
Odio gli addii. Porterei tutti quanti con me. Come una zingara riempirei il carrozzone trainato da cavalli e girerei per il mondo con la mia troupe di saltimbanchi, equilibristi, mangiatori di fuoco, ballerine e clowns. Monterei le tende del mio circo negli angoli piu’ remoti ai confini del sogno e darei spettacoli ai quali assisterebbero tutti i bimbi che dentro di noi son prigionieri.
La baciai ancora una volta. Ci scambiammo i numeri di telefono. Ci promettemmo di sentirci presto e di ritrovarci alla prima occasione. Lui ci osservava in silenzio con aria quasi divertita, sorniona, come un papa’ che osservava la propria figlia mentre salutava l’amichetta alla fine della vacanza estiva.
Quando fummo soli gli domandai il perche’ di quella sua aria divertita, visto che aveva perso la scommessa.
“Tesoro – mi disse – perche’ dici di aver vinto una scommessa che in realta’ hai perso?”
Lo guardai con aria stupefatta.
“Come perso? Avevamo stabilito che l’avrei portata nel nostro letto gratis e mi pare di esserci riuscita. O no?”
Sempre con aria sorniona mi guardo’, mi abbraccio’ e fissandomi da una distanza di dieci centimetri mi disse:
“Di’ la verita’… Temevi che fossi io a perdere la testa per Olga e invece mi pare che…”
“Ma che c’entra questo? La scommessa non era su questo” replicai io, alterata forse piu’ per aver compreso il senso della sua allusione che per altro motivo.
“Infatti la tua cotta per lei non c’entra nulla… – concluse sorridendo cinicamente – solo che ieri al bar le hai offerto due grasshopper. E li hai pagati tu!”
* Dobroie utro, ti karasho spal? – Buon giorno, dormito bene?
** Da, ochen karasho, spasibo – Si, molto bene, grazie